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    SALÌ AL CIELO, SIEDE ALLA DESTRA DI DIO PADRE ONNIPOTENTE

    Parlare di "discesa agli inferi" e di "salita al cielo" significa collocarci nell’universo a tre dimensioni, che è quello dell’esperienza immediata che noi viviamo. La Bibbia, che è scritta per gli uomini, usa questo modo universale di esprimersi. Per essa il cielo, in alto, è il luogo dove abita Dio; la terra è il luogo dove abitano gli uomini; gli inferi, in basso, sono il luogo dove abitano i morti e i demoni. Di conseguenza per visitare gli uomini Dio "discende" dal cielo; poi vi "risale". La "nube" è il suo veicolo.

    Noi continuiamo a usare queste immagini nel linguaggio corrente, senza però esserne schiavi. Le nozioni di alto e basso sono relative alla posizione dell’osservatore, ma non hanno alcun valore in se stesse. Milano è a nord per chi sta a Roma e a sud per chi vive in Svizzera. Lo stesso dicasi del cielo; quello sotto cui viviamo è in alto, quello degli antipodi è in basso rispetto a noi. Di conseguenza Dio non è né in alto né in basso: è ovunque e al di là di tutto.

    Solo due vangeli, Marco e Luca, ricordano il fatto visibile dell’ascensione di Gesù: "Il Signore, dopo aver parlato con loro, fu assunto in cielo e sedette alla destra di Dio" (Mc 16,19); "Mentre li benediceva, si staccò da loro e fu portato verso il cielo" (Lc 24,51).

    Quando diciamo e crediamo che Cristo glorioso è asceso al cielo dove siede alla destra del Padre, intendiamo dire che è entrato per sempre nel mondo spirituale nuovo, definitivo; inaccessibile ai nostri sensi e alla nostra immaginazione, ma reale, molto più reale del nostro mondo attuale.

    S. Pietro, il mattino di Pentecoste, aveva espresso in sintesi la fede pasquale: "Questo Gesù Dio l’ha risuscitato e noi tutti ne siamo testimoni. Innalzato pertanto alla destra di Dio e dopo aver ricevuto dal Padre lo Spirito Santo che egli aveva promesso, lo ha effuso come voi stessi potete vedere e udire" (At 2,32-33).

    Pietro e gli apostoli davanti al sinedrio affermano: "Il Dio dei nostri padri ha risuscitato Gesù, che voi avete ucciso appendendolo alla croce. Dio lo ha innalzato con la sua destra facendolo capo e salvatore per dare a Israele la grazia della conversione e il perdono dei peccati" (At 5,30-31).

    Paolo scrive agli Efesini: "Il Dio della gloria... risuscitò (Cristo) dai morti e lo fece sedere alla sua destra nei cieli, al di sopra di ogni principato e autorità..." (Ef 1,17-23).

    Gesù di Nazaret abbandona la nostra condizione umana, terrena e mortale, per assumere, in qualità di uomo, la condizione divina e diventare simile a Dio. L’"elevazione" di Cristo consiste innanzitutto in questo: un uomo è assiso alla destra del Padre in piena uguaglianza con lui ed è Signore come lui.

    Per Gesù risorto non esistono più limiti di tempo, di spazio, ecc.: un uomo della nostra razza, sottoposto a tutte le condizioni della nostra umanità, con il suo trionfo sulla morte acquista le incalcolabili dimensioni dell’universo, la pienezza inesauribile e senza limiti di Dio. Ripieno di Dio riempie tutte le cose.

    Gesù non rifiuta il suo corpo, ma lo trasfigura e lo divinizza in pienezza. In tal modo diventa infinitamente libero ed è presente ovunque. La risurrezione-ascensione lo rende realmente presente a tutti gli uomini suoi fratelli. Il Signore quindi fu liberato non dalla materia, ma dai suoi limiti terreni.

    Ciò che è accaduto a Cristo, accadrà a tutta l’umanità. La sua risurrezione-ascensione è annuncio e anticipazione della nostra. "Dio ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amati, da morti che eravamo per i peccati, ci ha fatti rivivere in Cristo: per grazia infatti siete stati salvati. Con lui ci ha anche risuscitati e ci ha fatti sedere nei cieli in Cristo Gesù" (Ef 2,4-9).

    L’ascensione non è evasione dai drammi vissuti dai nostri fratelli; non è contemplazione dei bei panorami teologici fine a se stessi. Questo "Cristo universale" è in me e chiede il mio cuore e le mie braccia per servire e salvare. I cristiani devono essere i testimoni di una promessa che fa nascere cose nuove nella storia. Testimoni significa operatori: non nascerà niente di nuovo se non attraverso l’impegno temporale e politico degli uomini in favore della giustizia e della pace. L’ascensione ci rinvia quasi brutalmente alla terra e ai suoi urgenti bisogni: "Perché state a guardare il cielo?" (At 1,11).

    Gesù il glorificato diventa il difensore efficace di qualunque uomo oppresso.

    La Bibbia ci presenta Dio che libera dalle oppressioni di ogni genere il suo popolo in questo mondo. La storia del popolo ebreo comincia con un’esperienza di liberazione sociale e politica di cui Dio prende l’iniziativa e la direzione: libera dalla schiavitù degli Egiziani i discendenti di Abramo e li conduce a casa loro nella terra promessa. Il Signore è "colui che ha fatto uscire il suo popolo dall’Egitto" e l’ha portato alla libertà. Dio ama l’uomo e fa alleanza con lui e pretende che quest’uomo sia rispettato. Dio ama l’uomo a tal punto perché è suo figlio, perché ogni uomo è una cosa sola con suo Figlio, perché per ogni uomo Dio ha un solo progetto, una sola idea da realizzare: risuscitarlo, glorificarlo, divinizzarlo, farlo sedere alla sua destra.

    Liberatore degli oppressi, Dio invita il suo popolo a imitarlo. Le pratiche religiose e il culto sono cose secondarie (cfr Is 1,10-20). "Non è piuttosto questo il digiuno che voglio: sciogliere le catene inique, togliere i legami del giogo, rimandare liberi gli oppressi e spezzare ogni giogo? Non consiste forse nel dividere il pane con l’affamato, nell’introdurre in casa i miseri, senza tetto, nel vestire uno che vedi nudo...?" (Is 58,6-10).

    Gesù inaugura la sua missione proclamando: "Lo Spirito del Signore è sopra di me... e mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio, per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; per rimettere in libertà gli oppressi e predicare un anno di grazia del Signore" (Lc 4,18-19).

    Egli ha messo mano a questa lotta di liberazione contro l’oppressione dei poteri e in primo luogo contro la malvagità dei nostri cuori. Molti di noi sono ancora affetti da cecità: non vedono negli avvenimenti di liberazione dell’uomo la mano di Gesù Cristo liberatore. Gesù, Figlio di Dio incarnato, ha condotto questa battaglia senza staccarsi dal contesto umano e storico in cui si è trovato a vivere: ha guarito i malati, ha nutrito gli affamati, ha lottato contro un mondo molto concreto di oppressori: lui stesso conobbe la sofferenza, l’ostilità e la morte.

    Gesù ha lottato per spezzare la spirale infernale dell’odio: ha invitato al perdono e all’amore. Nella lotta per l’uomo, il perdono e l’amore sono le uniche armi che Cristo ha messo in mano ai suoi soldati. Essi devono lottare fino allo stremo delle forze, ma senza odio. L’odio genera odio. Se l’odio vince, si ricomincia da capo: gli oppressi di ieri diventano gli oppressori di oggi. La clessidra viene ribaltata, ma nessuno viene liberato, salvato, amato.

    Gesù non è venuto a innalzare barricate, ma a distruggerle. "Egli è la nostra pace, colui che ha fatto dei due un popolo solo, abbattendo il muro di separazione che era frammezzo, cioè l’inimicizia ..." (Ef 2,14-18).

    Non vuole spade: "Rimetti la spada nel fodero, perché tutti quelli che mettono mano alla spada, periranno di spada!" (Mt 26,57). Non vuole nemmeno legioni di angeli (cfr Mt 26,53). Scopo del suo grido contro la schiavitù dei poveri e l’oppressione dei potenti non è quello di ottenere che la potenza di Dio spazzi via tutti i profittatori e tutti i malvagi dalla faccia della terra: la posta in gioco della sua vita e della sua morte è che l’uomo sfruttato o sfruttatore, vittima o carnefice, sia liberato dal proprio odio. Ora, nessuna violenza, nessuna dimostrazione di potenza libera l’uomo dall’odio. Al contrario!

    Un Dio non incarnato non poteva perdonare agli sfruttatori delle lacrime e dei sudori degli uomini: doveva punire e vendicare. Il vero Dio però è diverso. Appartiene al numero degli schiacciati dalla società; è il loro Signore. Per questo può perdonare e aprire la via della riconciliazione e della pace. Gesù non ha perdonato in astratto. Solo colui che è stato torturato può perdonare al torturatore. Solo colui che fu oggetto di odio può manifestare l’impotenza e la sconfitta dell’odio perdonando. Il perdono dato da Gesù nel momento della sua morte: "Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno" (Lc 23,34) è un perdono carico di tutta la storia dello stesso Gesù. Egli era stato perseguitato, calunniato, percosso, disprezzato, ridicolizzato, condannato ingiustamente e moriva come un criminale e un bestemmiatore. Dio Padre fa proprio questo perdono e costituisce Gesù come Signore e giudice: giudice secondo le sue categorie (amore e perdono) naturalmente! Solo il perdono apre sul futuro, sia per chi è perdonato sia per chi perdona: un futuro comune all’uno e all’altro.

    L’uomo che si chiude nell’odio vuole distruggere colui che odia, vuole eliminarlo. Solamente il perdono si contrappone alla logica della guerra.

    Nel momento del perdono scaturisce la speranza che chi viene perdonato capisca la sterilità della propria logica di morte. Gesù non prega Dio perché stermini i suoi nemici, ma inaugura un futuro luminoso per lo stesso peccatore-nemico perché dimostra con il suo perdono che nessuno è chiuso definitivamente nella morte.

    Dio non può più diventare una pezza giustificativa degli odi di parte, di razza, di classe e nemmeno può essere preso come garante d’una giustizia implacabile. Dio può essere invocato solo quando il perdono è stato concesso in misura piena, definitiva e senza condizioni.

    "Cristo patì per voi, lasciandovi un esempio, perché ne seguiate le orme; egli non commise peccato e non si trovò inganno sulla sua bocca; oltraggiato, non rispondeva con oltraggi, e soffrendo non minacciava vendetta, ma rimetteva la sua causa a colui che giudica con giustizia" (1 Pt 2,21-23). Colui che fu ingiustamente crocifisso e che ha perdonato è lo stesso che è stato intronizzato alla destra di Dio Padre. E non si interpreti tutto questo come debolezza, come un ritorno alla rassegnazione e al vittimismo! Questo crocifisso che è Dio e non muove un dito per difendere se stesso, è più forte dei vincitori di tutte le guerre perché l’odio è il massimo della debolezza e l’amore il massimo della forza.

    La risurrezione-ascensione è la ratifica di Dio attraverso la quale abbiamo la certezza che l’amore e il perdono sono la via giusta, l’arma vincente. Solo l’amore avrà l’ultima parola perché Dio è amore.