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    DI LÀ VERRÀ A GIUDICARE I VIVI E I MORTI

    Il cristianesimo non è una faccenda privata fra Dio e il singolo. La parabola vera del giudizio (Mt 25,31-46) ci insegna l’identità tra la causa degli uomini e quella di Gesù: tutto avviene nel contesto di un confronto generale.

    La Scrittura non ricorda mai direttamente il giudizio particolare (individuale) mentre il solo Nuovo Testamento parla più di settanta volte del giudizio universale.

    La parabola del ricco cattivo e del povero Lazzaro (Lc 16,19-31) e la promessa fatta da Gesù al buon ladrone: "In verità ti dico oggi sarai con me in paradiso" (Lc 23,43) ci portano però a credere che c’è una retribuzione prima del giudizio finale. In tale senso si è espressa anche la dottrina della Chiesa.

    Il nostro incontro con Dio non avrà nulla a che vedere con una procedura d’accusa, di difesa, di sentenza; né con un particolareggiato rendiconto di chi deve presentare un bilancio. Non ci troveremo a faccia a faccia con un Dio irritato, scrupolosamente documentato sui nostri misfatti per poterceli gettare violentemente in faccia senza dimenticarne alcuno. Tutto quanto non è amore non ha nulla a che vedere con Dio. Quindi questo "giudizio" va inteso come un attesissimo incontro tra due amici; non ha nulla di terribile e ha tutto di stupendamente bello; è l’incontro con l’Amore in persona, con la tenerezza assoluta; è l’immersione totale nell’"ampiezza, lunghezza, altezza e profondità dell’amore di Cristo che sorpassa ogni conoscenza e ci ricolma di tutta la pienezza di Dio" (cfr Ef 3,18-19).

    Certamente esiste anche il giudizio di condanna per coloro che rifiutano l’amore: Dio rispetta la libertà dell’uomo proprio perché lo ama.

    13.1 Il purgatorio

    Il Concilio Vaticano II nella Lumen gentium afferma semplicemente che "la Chiesa di quelli che sono in cammino... fino dai primi tempi della religione cristiana ha coltivato con una grande pietà la memoria dei defunti e poiché santo e salutare è il pensiero di pregare per i defunti, perché siano assolti dai peccati" (2Mac 12,46), ha offerto per loro anche dei suffragi" (LG, 50).

    Mettiamo dunque una pietra sopra un purgatorio tutto fuoco e fiamme. Fino al secolo XII "purgatorio" era un aggettivo. Si parlava di pene purgatorie cioè di pene che purificano. Fu uno sbaglio non solo grammaticale cambiare l’aggettivo in sostantivo. Ne venne fuori un luogo, una prigione con tutti gli orrori di "alme gementi fra vindici ardor".

    Il purgatorio è un mistero di maturazione pasquale. E’ un’"incubatrice" dove ci è dato di portare a compimento quella crescita nella vita divina che non abbiamo realizzato nella vita presente; è l’ultimo tocco estetico prima di entrare nella vita eterna. Le anime sante del purgatorio stanno decisamente meglio di noi. "Non credo che dopo la felicità dei santi in paradiso, possa esistere una gioia paragonabile a quella delle anime del purgatorio" (s. Caterina da Genova +1510. Trattato del purgatorio, cap. 2). "Le anime dei giusti sono nelle mani di Dio, nessun tormento le toccherà. Agli occhi degli stolti parve che morissero; la loro fine fu ritenuta una sciagura, la loro partenza da noi una rovina, ma essi sono nella pace... la loro speranza è piena di immortalità... Coloro che gli sono fedeli vivranno presso di lui nell’amore perché grazia e misericordia sono riservate ai suoi eletti" (Sap 3,1-9).

    13.2 Il giudizio universale

    Gli uomini saranno giudicati da un fratello, da un uomo. "Il Padre, infatti, non giudica nessuno, ma ha rimesso ogni giudizio al Figlio, perché tutti onorino il Figlio come onorano il Padre" (Gv 5, 22-23). Venuta gloriosa di Gesù e giudizio universale saranno un solo avvenimento, l’ultimo della storia, il compimento totale e definitivo della divinizzazione dell’uomo. Sarà il giorno della "grande ricompensa" (Mt 5,12). "Tutti infatti dobbiamo comparire davanti al tribunale di Cristo, ciascuno per ricevere la ricompensa delle opere compiute, finché era nel corpo, sia in bene che in male" (2Cor 5,10). "Dio renderà a ciascuno secondo le sue opere: la vita eterna a coloro che perseverando nelle opere di bene cercano gloria, onore e incorruttibilità; sdegno ed ira contro coloro che per ribellione resistono alla verità e obbediscono all’ingiustizia" (Rm 2, 6-8). "Tutti infatti ci presenteremo al tribunale di Dio... Quindi ciascuno renderà conto a Dio di se stesso" (Rm 14,10-12).

    Risulta chiaro che saremo giudicati sulle opere alla luce del comandamento di Dio. "Questo è il suo comandamento: che crediamo nel nome del Figlio suo Gesù Cristo e ci amiamo gli uni gli altri, secondo il precetto che ci ha dato" (1Gv 3,23). Credere in Gesù Cristo e amare i fratelli sono "le opere che ci seguono" (cfr. Ap 14,13) e secondo le quali ciascuno sarà retribuito. Ne consegue che il primo peccato che ci porta alla condanna è il rifiuto ostinato di credere. È il peccato contro lo Spirito Santo, il peccato che non può essere perdonato in quanto l’orgoglio dell’uomo si allinea con quello di satana e gli impedisce il pentimento. A coloro che chiedevano: "Che cosa dobbiamo fare per compiere le opere di Dio?" Gesù rispose: "Questa è l’opera di Dio: credere in colui che egli ha mandato" (Gv 6,28-29).

    "Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna. Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio" (Gv 3,16-18).

    "In verità, in verità vi dico: chi ascolta la mia parola e crede a colui che mi ha mandato, ha la vita eterna e non va incontro al giudizio, ma è passato dalla morte alla vita... Verrà l’ora in cui tutti coloro che sono nei sepolcri udranno la sua voce e ne usciranno: quanti fecero il bene per una risurrezione di vita e quanti fecero il male per una risurrezione di condanna" (Gv 5, 24-29).

    In quale situazione si trovano davanti a Dio l’ignorante, il pagano, il non credente, l’ateo in buona fede e tutti coloro che non hanno avuto la fortuna di credere?

    "Dio stesso non è lontano dagli altri che cercano un Dio ignoto nelle ombre e nelle immagini... e come salvatore vuole che tutti gli uomini siano salvati (cfr 1Tm 2,4). Infatti quelli che senza colpa ignorano il vangelo di Cristo e la sua Chiesa e tuttavia cercano sinceramente Dio e con l’aiuto della grazia si sforzano di compiere con le opere la volontà di Dio, conosciuta attraverso il dettame della coscienza, possono conseguire la salvezza eterna" (Concilio Vaticano II. LG, 16).

    Tutti gli uomini di buona volontà, cristiani e non, sono così riportati e allineati al medesimo punto di partenza per la seconda prova dell’ultimo giudizio: l’amore reciproco.

    "Alla sera della vita, saremo giudicati sull’amore" (s. Teresa di Lisieux). Sull’amore concreto, quello alla portata di tutti: dare da mangiare, da bere, alloggiare, vestire, visitare, assistere, prendersi cura: l’amore che avremo prodigato o rifiutato all’uomo (Mt 25). Cristo stesso ci avverte che al momento del giudizio molti tireranno fuori le loro tessere di praticanti. "Molti mi diranno in quel giorno (quello del giudizio): Signore, Signore, non abbiamo noi profetato nel tuo nome e cacciato demoni nel tuo nome e compiuto molti miracoli nel tuo nome? Io però dichiarerò loro: Non vi ho mai conosciuti; allontanatevi da me, voi operatori di iniquità" (Mt 7,22-23).

    La vera religione è quella che ci lega a questo Dio in incognito che si identifica con ogni uomo sofferente. A nulla servono i sette sacramenti se non portano a celebrare il "sacramento del fratello", a incontrare Dio nell’uomo. Pochi uomini hanno incontrato Cristo e lo hanno conosciuto, ma tutti hanno incontrato dei fratelli bisognosi d’aiuto, dei nemici da perdonare e tutti costoro "ero io, l’avete fatto a me, non l’avete fatto a me" (Mt 25) dirà Cristo. Dove c’è un uomo, lì c’è Cristo. E non è la stessa cosa per Cristo che una nazione soffochi l’altra o l’aiuti, che faccia la guerra o lavori per la pace, che equilibri la bilancia dei pagamenti esportando grano o vendendo armi...

    Tutti noi saremo giudicati sull’amore. I sistemi economici saranno giudicati sull’amore. I partiti politici saranno giudicati sull’amore. Il vangelo non è neutrale. Cristo non è neutrale. Sta dalla parte del povero. Anche la Chiesa sarà giudicata sull’amore, sul servizio e l’impegno in favore degli oppressi e degli sfruttati e non sulle belle dichiarazioni dottrinali o sul codice di diritto canonico. Io, prete o laico, giovane o adulto, sarò giudicato sull’amore.

    Pietro in casa di Cornelio a Cesarea proclama: "(Gesù Cristo) ci ha ordinato di annunziare al popolo e di attestare che egli è il giudice dei vivi e dei morti costituito da Dio" (At 10,42).

    I vivi sono coloro che saranno in vita al momento della venuta finale di Cristo; i morti, coloro che, già defunti, allora risusciteranno per il giudizio.

    Dobbiamo fare una precisazione. Gesù nel vangelo (Mt 22,32) nega che si possa fare distinzione tra vivi e morti: esistono solo dei vivi. La morte non produce dei morti, ma è solo un passaggio verso un’altra vita. I defunti (defunctus = colui che si è liberato da un obbligo gravoso e spiacevole, colui che ha smesso le sue "funzioni" in questa vita) non sono dei morti, ma dei vivi. Quindi possiamo parlare abitualmente di vivi e di morti per distinguere i nostri compagni di vita "presenti" da quelli "scomparsi".

    A noi, figli dei grandi inquisitori, allucinati dai roghi e dalle torture medievali, l’idea del giudizio fa tremare le vene e i polsi. La comunità cristiana primitiva, invece, illuminata dalla fede degli apostoli, interpretò il ritorno di Cristo come un avvenimento carico di speranza e di gioia, come il ritorno dello Sposo per la sposa. Dobbiamo trovare la dolcezza e l’ottimismo di questa espressione rivelata: "Verrà a giudicare i vivi e i morti" (2Tm 4,1). Affermare: "Il giudice è Gesù" è molto più rassicurante e consolante che se dicessimo: "Il giudice è la mia mamma" , perché Gesù ci ama tutti infinitamente di più delle nostre mamme. Il giudizio, quindi, è perdono e premio per i vivi e per i morti. Dalla festa eterna saranno esclusi solo quelli che ostinatamente si saranno rifiutati di credere, di amare e di lasciarsi amare.

    "Se Dio è per noi chi sarà contro di noi? Egli che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per tutti noi, come non ci donerà ogni cosa insieme con lui? Chi accuserà gli eletti di Dio? Dio giustifica. Chi condannerà? Cristo Gesù, che è morto, anzi, è risuscitato, sta alla destra di Dio e intercede per noi? Chi ci separerà dunque dall’amore di Cristo?... Io sono infatti persuaso che né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezza né profondità, né alcun’altra creatura, potrà mai separarci dall’amore di Dio, in Cristo Gesù, nostro Signore" (Rm 8, 31-39).

    Beati coloro che credono a questo amore!

    Beati coloro che vivono lo stupendo dialogo, che chiude l’Apocalisse: "Sì, verrò presto! Amen! Vieni Signore Gesù!" (Ap 22,20).