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    LA VITA ETERNA. AMEN

    I tre quarti dei non credenti, per quanto saggi e sapienti, pensano alla morte come la fine di tutto. Né scienziati né filosofi possono affermare la vita eterna. Ma il cristiano lo può, partendo dalla fede in Dio e in Gesù Cristo.

    Il nostro Dio è il Dio vivente perché la vera vita è amore e "Dio è amore" (1Gv 4,8). Il Dio vivente è "fonte della vita" (Sal 36,10). Ogni essere e ogni vita scaturiscono da lui nella continua successione degli istanti, come il fiume dalla sua sorgente (Sal 104,10-15). Ma Dio trasmette la vita all’uomo con un soffio personalissimo, per farne un vivente a sua immagine e somiglianza (Gen 2,7). Dio "non gode della morte di chi muore" (Ez 18,32); proibisce l’omicidio, anche quello di Caino, l’assassino del proprio fratello (Gen 4,11-15). La morte infatti è l’eliminazione di tutto. Attraverso tutto l’Antico Testamento viene proclamata questa volontà di vita come fiamma di Dio nel cuore dell’uomo. Il giudeo credeva ingenuamente che il giusto vivesse più a lungo del peccatore (Pr 3,1-2). Un secolo e mezzo prima di Cristo incomincia ad affermarsi la speranza della vita eterna.

    Questa vita eterna risiede in Gesù Cristo. "Dio ci ha dato la sua vita eterna e questa vita è nel suo Figlio. Chi ha il Figlio ha la vita; chi non ha il Figlio di Dio, non ha la vita. Questo vi ho scritto perché sappiate che possedete la vita eterna, voi che credete nel nome del Figlio di Dio" (1Gv 5,11-13).

    Gesù ha detto: "Io sono la vita" (Gv 14,6); "Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno" (Gv 11,25-26).

    Infatti da sempre "In lui era la vita, e la vita era la luce degli uomini" (Gv 1,4) ed è venuto perché gli uomini "abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza" (Gv 10,10) e dà loro la vita eterna e non andranno mai perduti e nessuno li rapirà dalla sua mano (cf. Gv 10,28).

    Gesù è "il Verbo della vita" (1Gv 1,1), "l’albero della vita" (Ap 22,2), "il pane della vita" (Gv 6,35), "la luce della vita" (Gv 8,12).

    "Sappiamo che il Figlio di Dio è venuto e ci ha dato l’intelligenza per conoscere il vero Dio. E noi siamo nel vero Dio e nel Figlio suo Gesù Cristo: egli è il vero Dio e la vita eterna" (1Gv 5,20).

    La vita eterna non è una vita biologica, com’era prima della morte, con le sue funzioni respiratoria, circolatoria, ecc. "Questa è la vita eterna: che conoscano te, l’unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo" (Gv 17,3).

    "Che conoscano te". Non pensiamo a una pura conoscenza intellettuale fatta di nozioni o di termini scientifici. Si tratta di una intimità d’amore in cui due esseri ne formano uno solo, come nel ferro incandescente, il ferro e il fuoco formano una sola cosa. Balbettii su un mistero!

    "Noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è" (1Gv 3,2).

    Ciò significa che "la vita eterna" è già cominciata: "Noi fin d’ora siamo figli di Dio". La vita eterna cammina sulle nostre strade, nel nostro mondo, nutrita di Eucaristia: "Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno" (Gv 6,54).

    Notiamo che il vangelo dice ha, non avrà.

    La vita eterna in noi è precisamente il nostro rapporto con questo Dio vivente. Per sempre siamo figli di Dio, per sempre siamo con lui; lui in noi e noi in lui, divinizzati: dinamismo, gioia eternamente crescente, festa immensa e senza fine, vita umana e divina potenziate all’infinito. "Come abbiamo portato l’immagine dell’uomo di terra, così porteremo l’immagine dell’uomo celeste" (1Cor 15,49), di Gesù, in modo da poter dire con Paolo: "Per me il vivere è Cristo" (Fil 1,21).

    Questa vita eterna ora la viviamo allo stato embrionale, come "vita nascosta con Cristo in Dio" (cfr Col 3,3). Quando si manifesterà Cristo, la nostra vita, allora anche noi saremo manifestati con lui nella gloria (cfr Col 3,4).

    19.1 Il cielo

    Tornando da un funerale spesso si dicono cose sublimi e verità indiscutibili sul conto del morto: "Ora sta meglio di noi! Se n’è andato in un mondo migliore!". Ma nessuno vorrebbe essere al suo posto; nessuno ha fretta di entrare in questo mondo cosiddetto migliore. Figuratevi! Il caro estinto ha perso tutto, è sotto il torchio del giudizio terribile di Dio, forse si trova già all’inferno, sicuramente dovrà fare un lungo purgatorio, chissà quando arriverà in cielo, in un cielo dove nessuno ha veramente voglia di andare! Quale cielo ci è stato presentato fin dall’infanzia? Cielo di troni fissi di fronte all’immutabile triangolo della Trinità; cielo di santi che cantano inni, con il loro piatto (aureola) che sta ben dritto dietro alla testa; cielo di angeli alati; cielo di anime disincarnate, ecc... Insomma un cielo di gente veramente annoiata e noiosa, che ci fa amare di più la nostra bella "valle di lacrime" nelle quali, oltretutto, sappiamo nuotare egregiamente e... stare a galla.

    Quale meraviglia, allora, se i cristiani vivono in questo mondo come coloro che non hanno speranza? Certo è difficile raffigurarci il cielo; ma questa è una ragione in più per riprendere continuamente i dati biblici che Dio ci ha rivelato e rispolverare le idee e le immagini.

    La Scrittura è precisa sull’inferno, ma anche straordinariamente sobria. I predicatori, invece, sono andati a gara per aggiungere cose su cose, con gusto sadico. Il cielo, invece, li ha lasciati troppo spesso senza parole, senza ispirazione, senza fantasia, quando proprio la rivelazione ne è ricca ed eloquente. È più facile mettere addosso paura che trasfondere gioia!

    Il nostro Dio non è il Dio della paura ma della gioia, il Dio dell’amore! Il vangelo è la "buona novella" della felicità.

    La Bibbia, pur affermando che non è possibile descrivere il mondo della gloria, non esita a richiamarlo partendo dalle più semplici realtà umane. Essa parla all’uomo terreno e al suo cuore di carne usando un linguaggio che l’uomo possa capire.

    Il cielo non sarà la negazione dell’uomo terreno, ma il suo compimento; non sopprimerà la gioia umana, ma la perfezionerà superandola divinamente. Presentarci un cielo che non rispondesse ai nostri desideri reali, sarebbe come presentare a un cane un capolavoro letterario o una salsiccia di plastica.

    Per questa ragione molti cristiani non comprendono e non condividono l’impazienza di Paolo: "Per me infatti il vivere è Cristo e il morire un guadagno. Ma se il vivere nel corpo significa lavorare con frutto, non so davvero che cosa debba scegliere. Sono messo alle strette infatti tra queste due cose: da una parte il desiderio di essere sciolto dal corpo per essere con Cristo, il che sarebbe assai meglio; d’altra parte, è necessario per voi che io rimanga nella carne" (Fil 1,21-24).

    "Essere con Cristo". "Essere con" è il sogno dell’amore: speranza degli esiliati, impazienza dei fidanzati, gioia profonda di ogni ritorno. Ma è necessario essere presi da amore e da grande amicizia. San Paolo era stato conquistato da Cristo. Per questo era impaziente di correre incontro a Cristo per non esserne più separato. Il cielo di san Paolo è il cielo dell’amore di Cristo, dell’amore appagato.

    Ma Gesù non può far dimenticare il Padre e lo Spirito Santo. Paolo parlando di Dio Trinità dice: "Vedremo a faccia a faccia" (1Cor 13,12), e san Giovanni aggiunge: "Lo vedremo così come egli è" (1Gv 3,2).

    Noi sappiamo che questo volto è innanzitutto il volto dell’amore. Morendo cadremo nelle braccia del Padre, del Fratello e dell’Amico. Lo conosceremo così come egli è attraverso un possesso reciproco totale! Lo conosceremo come il ferro conosce il fuoco che lo penetra, come la spugna conosce l’acqua nell’immensità di un oceano senza limiti. L’uomo non potrà mai stancarsi di Dio e della sua intimità ineffabile.

    La vita eterna è paragonata a un banchetto d’amicizia (Lc 12,37), a una festa di nozze (Mt 22,1-14). Sarà il trionfo eterno di una moltitudine eterna di salvati (Ap 7). Sarà la definitiva presa di possesso del regno preparato per noi fin dalla fondazione del mondo (Mt 25,31-46; Ap 5,10; 22,5; 2Tm 2,12). Regno che appartiene a coloro che vivono secondo lo spirito delle beatitudini (Mt 5.6.7; Lc 6,20-49). "E poi, secondo la promessa, noi aspettiamo nuovi cieli e una terra nuova nei quali avrà stabile dimora la giustizia" (2 Pt 3,13).

    S. Teresa d’Avila, a ogni ora che suonava, provava un sussulto di gioia: "Eccoci più vicini al cielo di un’ora!".

    19.2 Le pene eterne

    Il nostro Credo non ha un articolo per affermare: "Credo l’inferno, la morte eterna", ma "credo la vita eterna". In altri termini: credo alIa salvezza che ci strappa dal peccato e dall’inferno, credo alla salvezza che ci fa figli di Dio ed eredi della vita eterna. Il cielo, e non l’inferno, è voluto da Dio. Perché il cielo è Dio stesso; mentre l’inferno è l’assenza di Dio.

    L’inferno non può costituire da solo l’argomento di una predica, diversamente rischierà d’apparire come una creazione dell’uomo, che sarebbe mostruoso imputare a un Dio di bontà, a un Dio-Amore.

    Le immagini bibliche dell’inferno sono tratte dalla storia o dalla vita quotidiana del popolo d’Israele

    Immagini di fuoco. La pioggia di zolfo e di fuoco su Sodoma e Gomorra: terra maledetta, "terra bruciata" dalla quale sale un fumo "come il fumo di una fornace" (Gen 19,23-29); oppure "lo stagno di fuoco ardente di zolfo" (Ap 19,20; 20,10 e 15; 21,8; ecc.).

    - La Geenna, un sinistro vallone a sud di Gerusalemme, la discarica dei rifiuti della città, dove il fumo maleodorante di un "fuoco continuo" s’innalza nell’aria giorno e notte.

    - Il fuoco che distrugge la paglia, la pula, i rami tagliati, gli alberi sterili, ammassati sul limitare del campo (Mt 3,10-12; 7,19; 13,40; Lc 3,9; Gv 15,6).

    Immagini di tenebre. Questa contradditorietà tra fuoco-luce e tenebre ci mette in guardia dal prendere i simboli per realtà materiali. Sono immagini per descrivere una situazione di distruzione, di desolazione, di tormento, di solitudine, di morte.

    Il vangelo ci parla di "tenebre esteriori" (Mt 8,12), che stanno fuori dal regno, ossia fuori dal "paese" in cui l’amore è sovrano, fuori dall’alleanza e dalla festa, fuori dalle nozze, fuori dalla famiglia e dalla sua intimità, fuori dall’unico banchetto della vita (Mt 22,1-14).

    Questa immagine raccapricciante di "tenebre esteriori dove sarà pianto e stridore di denti" costituisce l’opposizione più eloquente alla ricca simbologia del cielo. Nella casa del Padre abbiamo luci, musica, danze, amore, festa, incontro, vita esuberante e felice. All’esterno la fredda notte, il vagare solitario e senza meta, pianti di disperazione e di rabbia, pianti inutili e rabbia impotente di chi ha rifiutato la luce e l’amore. Cristo è la vite, il pane della vita, la via, la porta, la luce e il solo volto che ci svela il Padre, l’alfa e l’omega, il tutto: staccarsi da lui è la perdita assoluta di se stessi per diventare un grido inutile e un insulto inascoltato. Sembrano intollerabili e assurde quelle parole pronunciate da Gesù, ma sono divinamente vere: "Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e i suoi angeli" (Mt 25,41).

    L’esistenza dell’inferno è indispensabile. Senza di esso il cielo non sarebbe altro che un campo di concentramento dove si è obbligati ad andare. Il cielo è il "luogo" dove si ama e, siccome non esiste amore senza libertà, in cielo ci si va soltanto liberamente. L’esistenza dell’inferno è l’espressione del rispetto di Dio per la nostra libertà. Dio non costringerà mai nessuno ad amarlo. L’inferno è il rifugio del rifiuto.

    Sul dogma dell’inferno la Chiesa ha definito la sua fede:

    1 - L’inferno esiste, come situazione "preparata per il diavolo e i suoi angeli" e nella quale l’uomo può cadere.

    2 - L’ipotetico dannato vi cade subito dopo la morte.

    3 - L’inferno è eterno.

    Molti rifiutano Dio a causa dell’inferno e pongono un dilemma apparentemente insolubile: o un Dio-Amore che esclude l’inferno o un inferno che esclude Dio. E ancora: se Dio è amore, l’inferno è impensabile, assurdo. Che significato potrebbe avere, nel regno di un siffatto Dio, la permanenza eterna di una infelicità assoluta di uomini risorti? La chiave per la soluzione di questo problema, come di tutti i problemi della fede, è il dogma principale: "Dio e amore". Esiste l’inferno solo in questa luce.

    I testi della Scrittura non possono contraddire l’affermazione dell’amore assoluto, universale e perpetuo di Dio per ogni uomo, senza mandare in pezzi il vangelo, Cristo e lo stesso Dio.

    Dio non vuole l’inferno. Ma Dio è talmente signore dell’amore che può dare agli angeli e agli uomini una vera libertà, anche quella di rifiutarlo. L’uomo può ostinarsi a non amare. L’idea dell’inferno mette in evidenza esattamente questa possibilità. "Il dogma dell’inferno significa che la vita dell’uomo è sotto la minaccia della possibilità reale d’un fallimento eterno, giacché l’uomo può disporre liberamente di sé e può quindi rifiutarsi in piena libertà a Dio. Questa possibilità per l’uomo si concretizza realmente e in quali proporzioni? Per rispondere a questi interrogativi, non possiamo appellarci alla rivelazione né alla decisione del magistero della Chiesa" (Karl Rahner).

    Da una parte, la realtà indiscutibile dell’amore di Dio e della libertà dell’uomo non ci permette di affermare che non ci sono dei dannati. Dall’altra, l’esistenza anche di un solo dannato ci appare come uno scandalo, e per Dio più ancora che per noi. In realtà, fra l’inferno possibile e quello effettivo, Dio s’interpone con tutta la potenza del suo amore, con la potenza della morte e della risurrezione di Cristo.

    Rileggiamo, più col cuore che con gli occhi, questi testi del Nuovo Testamento: "Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui" (Gv 3,17); "Non sono venuto per condannare il mondo, ma per salvare il mondo" (Gv 12,47); "Non sono venuto a chiamare i giusti ma i peccatori" (Mt 9,13); "Mentre noi eravamo ancora peccatori, Cristo morì per gli empi" (Rm 5,6); "Dio dimostra il suo amore per noi perché, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi" (Rm 5,8).

    Dio ci comanda di perdonare "settanta volte sette" ossia all’infinito (Mt 18,22), di porgere l’altra guancia (Lc 6,29) perché egli per primo ha fatto così. Un uomo diventa ateo quando gli viene presentato un Dio meno buono di lui. E ne ha tutte le ragioni. Dio non cessa di essere Amore perché, per una inaudita aberrazione, alcune creature rifiutano che egli sia tale. Dio è amore che infinitamente si dona anche se l’uomo fa di lui l’amore rinnegato per sempre. Il rifiuto di essere amati non intacca in Dio il potere di amare; può minare l’amore nei suoi effetti, ma non nella sua sorgente.

    L’inferno, come rifiuto assoluto d’amare, esiste sempre da una sola parte: dalla parte di chi lo crea continuamente per se stesso. È divinamente impossibile che Dio possa minimamente cooperare a questa aberrazione. Se quindi ci può essere un contraccolpo in Dio dall’esistenza dell’inferno, tale contraccolpo può essere solo di dolore e di sofferenza infinita e non di compiacimento o di vendetta e di rivalsa per il suo amore rifiutato e tradito. Il dolore di Dio è qui insondabile quanto il suo amore.

    Il nostro dolore di fronte all’inferno, non è che un’eco del suo stesso dolore; il nostro scandalo non è che una pallidissima immagine del suo. L’inferno è in Dio l’inguaribile ferita che autentica per sempre l’amore infinito.

    19.3 Cieli nuovi e terra nuova

    "Io vi scongiuro, fratelli miei, restate fedeli alla terra e non prestate fede a coloro che ci parlano di speranze ultraterrene! Sono avvelenatori, lo sappiano o no. Sono spregiatori della vita, moribondi e avvelenati loro stessi, di cui la terra è stanca: vadano dove vogliono!" (F. Nietzsche).

    Gli atei dicono ai credenti: "Con la vostra "vita eterna" voi smobilitate gli uomini dalle loro lotte per la vita di questo mondo! Invece di occuparvi di una ipotetica "terra nuova" occupatevi piuttosto della nostra terra reale per renderla più abitabile!".

    Jean-Jacques Rousseau nell’ultimo capitolo del suo "Contratto sociale" fa dell’ironia su questo punto: "Il cristianesimo è una religione tutta spirituale, preoccupata solo delle cose del cielo: la patria del cristiano non è di questo mondo. Certo, compie il suo dovere, ma lo compie con una profonda indifferenza sulla buona riuscita o meno della sua opera. Purché non abbia nulla da rimproverarsi, non gli importa molto che tutto vada bene o male quaggiù... La cosa essenziale è d’andare in paradiso; la rassegnazione è un mezzo ulteriore per raggiungere lo scopo".

    Questo spiritualismo all’acqua di rose non ha nulla a che vedere con Gesù Cristo e il suo vangelo. Il cristiano vero è colui che si impegna con tutte le sue forze a rendere più abitabile la terra. Tuttavia dobbiamo dichiarare senza ambiguità che il mondo sarà totalmente compiuto solo quando sarà completamente sotto la signoria di Cristo risorto e l’uomo nascerà definitivamente solo quando entrerà nella risurrezione. Nulla di quanto Dio ha creato sarà distrutto perché "Dio ha creato tutto per l’esistenza" (Sap 1,14); non sostituirà i cieli e la terra attuali con altri cieli e un’altra terra; ma questi cieli e questa terra saranno trasformati. Il nostro mondo materiale, creato per l’uomo, partecipa al suo destino. Esso, maledetto a causa del peccato dell’uomo (Gen 3,17), si trova attualmente in una situazione violenta sottomesso alla caducità e alla schiavitù della corruzione. Ma come il corpo dell’uomo è destinato alla gloria, così anche il mondo sarà oggetto di redenzione e parteciperà alla libertà dello stato glorioso (cfr Rm 8,19-23).

    La filosofia greca voleva liberare lo spirito dalla materia considerata come cattiva; la risurrezione libera lo spirito e la materia.

    L’universo materiale e l’uomo non sono realtà separabili. L’uomo è nato dal mondo e fa corpo con esso; è una parte, la migliore, di esso. La vita del cosmo ha il suo culmine nell’uomo. Il Figlio di Dio fatto uomo attira tutto a sé per portare tutto al Padre; guida tutto l’universo al suo compimento. Non sappiamo come sarà il mondo rinnovato e non intendiamo fare della fantateologia. "Secondo la promessa noi aspettiamo nuovi cieli e una terra nuova nei quali avrà stabile dimora la giustizia" (2 Pt 3,13). L’azione sociale, culturale, politica, caritativa, l’impegno dell’uomo in tutte le sue forme non faranno maturare, da soli, questo nuovo mondo. La salvezza dell’uomo e del cosmo è la salvezza di Dio che corona gli sforzi dell’uomo.

    L’uomo non raggiunge Dio uscendo da questo mondo, ma inserendovisi e collaborando al disegno del Creatore. È questo il disegno del Padre: fare di Cristo il cuore del mondo.

    La risurrezione di Gesù "è quasi la prima esplosione d’un vulcano, a indicare come nell’intimo del mondo già arda il fuoco di Dio, che avvolgerà ogni cosa d’una beata incandescenza nel suo fulgore. Già sono liberate dal centro e dal cuore del mondo, in cui egli penetra scendendo nella morte, le energie nuove d’una terra trasfigurata, già nell’intimo più riposto di tutto il reale, la caducità, il peccato e la morte sono vinti. Occorre ancora solo il breve intervallo che chiamiamo storia "post Christum natum", perché universalmente, non solo nel corpo di Cristo, venga a manifestarsi ciò che in realtà è ormai accaduto" (Karl Rahner).

    19.4 Amen

    Amen è un termine ebraico che si è acclimatato ormai in tutte le lingue. È il punto finale del Credo, la chiusura solenne. È l’adesione piena, il sì deciso a tutto quanto è stato proclamato. È l’impegno a testimoniare la verità con le parole e con la vita.

    Nel Nuovo Testamento la parola Amen viene riferita a Cristo come nome proprio a titolo di testimone vero delle promesse di Dio: "Così parla l’Amen… (Ap 3,14). "E in realtà tutte le promesse di Dio in lui sono divenute "sì". Per questo sempre attraverso lui sale a Dio il nostro Amen per la sua gloria" (2Cor 1,20).