3 INFERNO

Dal Catechismo della Chiesa Cattolica

1033 Non possiamo essere uniti a Dio se non scegliamo liberamente di amarlo. Ma non possiamo amare Dio se pecchiamo gravemente contro di lui, contro il nostro prossimo o contro noi stessi: « Chi non ama rimane nella morte. Chiunque odia il proprio fratello è omicida, e voi sapete che nessun omicida possiede in se stesso la vita eterna » (1 Gv 3,14-15). Nostro Signore ci avverte che saremo separati da lui se non soccorriamo nei loro gravi bisogni i poveri e i piccoli che sono suoi fratelli. 628 Morire in peccato mortale senza essersene pentiti e senza accogliere l'amore misericordioso di Dio, significa rimanere separati per sempre da lui per una nostra libera scelta. Ed è questo stato di definitiva auto-esclusione dalla comunione con Dio e con i beati che viene designato con la parola « inferno ».

1034 Gesù parla ripetutamente della « geenna », del « fuoco inestinguibile », 629 che è riservato a chi sino alla fine della vita rifiuta di credere e di convertirsi, e dove possono perire sia l'anima che il corpo. 630 Gesù annunzia con parole severe: « Il Figlio dell'uomo manderà i suoi angeli, i quali raccoglieranno [...] tutti gli operatori di iniquità e li getteranno nella fornace ardente » (Mt 13,41-42), ed egli pronunzierà la condanna: « Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno! » (Mt 25,41).

1035 La Chiesa nel suo insegnamento afferma l'esistenza dell'inferno e la sua eternità. Le anime di coloro che muoiono in stato di peccato mortale, dopo la morte discendono immediatamente negli inferi, dove subiscono le pene dell'inferno, « il fuoco eterno ». 631 La pena principale dell'inferno consiste nella separazione eterna da Dio, nel quale soltanto l'uomo può avere la vita e la felicità per le quali è stato creato e alle quali aspira.

1036 Le affermazioni della Sacra Scrittura e gli insegnamenti della Chiesa riguardanti l'inferno sono un appello alla responsabilità con la quale l'uomo deve usare la propria libertà in vista del proprio destino eterno. Costituiscono nello stesso tempo un pressante appello alla conversione: « Entrate per la porta stretta, perché larga è la porta e spaziosa la via che conduce alla perdizione, e molti sono quelli che entrano per essa; quanto stretta invece è la porta e angusta la via che conduce alla vita, e quanto pochi sono quelli che la trovano! » (Mt 7,13-14).

    « Siccome non conosciamo né il giorno né l'ora, bisogna, come ci avvisa il Signore, che vegliamo assiduamente, affinché, finito l'unico corso della nostra vita terrena, meritiamo con lui di entrare al banchetto nuziale ed essere annoverati tra i beati, né ci si comandi, come a servi cattivi e pigri, di andare al fuoco eterno, nelle tenebre esteriori dove ci sarà pianto e stridore di denti ». 632

1037 Dio non predestina nessuno ad andare all'inferno; 633 questo è la conseguenza di una avversione volontaria a Dio (un peccato mortale), in cui si persiste sino alla fine. Nella liturgia eucaristica e nelle preghiere quotidiane dei fedeli, la Chiesa implora la misericordia di Dio, il quale non vuole « che alcuno perisca, ma che tutti abbiano modo di pentirsi » (2 Pt 3,9):

    « Accetta con benevolenza, o Signore, l'offerta che ti presentiamo noi tuoi ministri e tutta la tua famiglia: disponi nella tua pace i nostri giorni, salvaci dalla dannazione eterna, e accoglici nel gregge degli eletti ». 634

1056 Seguendo l'esempio di Cristo, la Chiesa avverte i fedeli della triste e penosa realtà della morte eterna, 651 chiamata anche « inferno ».

1057 La pena principale dell'inferno consiste nella separazione eterna da Dio; in Dio soltanto l'uomo può avere la vita e la felicità per le quali è stato creato e alle quali aspira.

1058 La Chiesa prega perché nessuno si perda: « Signore, [...] non permettere che sia mai separato da te ». 652 Se è vero che nessuno può salvarsi da se stesso, è anche vero che Dio « vuole che tutti gli uomini siano salvati » (1 Tm 2,4) e che per lui « tutto è possibile » (Mt 19,26).

 

 
La Catechesi di Giovanni Paolo II
L’inferno come rifiuto definitivo di Dio

Dopo il “cielo” o paradiso, di cui aveva trattato il 21 luglio, Giovanni Paolo II nella Catechesi di mercoledì 28 luglio ha presentato l’inferno che - egli ha detto - “sta ad indicare più che un luogo, la situazione in cui viene a trovarsi chi liberamente e definitivamente si allontana da Dio, sorgente di vita e di gioia”.

1. Dio è Padre infinitamente buono e misericordioso. Ma l’uomo, chiamato a rispondergli nella libertà, può purtroppo scegliere di respingere definitivamente il suo amore e il suo perdono, sottraendosi così per sempre alla comunione gioiosa con lui. Proprio questa tragica situazione è additata dalla dottrina cristiana quando parla di dannazione o inferno. Non si tratta di un castigo di Dio inflitto dall’esterno, ma dello sviluppo di premesse già poste dall’uomo in questa vita. La stessa dimensione di infelicità che questa oscura condizione porta con sé può essere in qualche modo intuita alla luce di alcune nostre terribili esperienze, che rendono la vita, come si suol dire, un “inferno”.

In senso teologico, tuttavia, l’inferno è altra cosa: è l’ultima conseguenza dello stesso peccato, che si ritorce contro chi lo ha commesso. È la situazione in cui definitivamente si colloca chi respinge la misericordia del Padre anche nell’ultimo istante della sua vita.

2. Per descrivere questa realtà, la Sacra Scrittura si avvale di un linguaggio simbolico, che si preciserà progressivamente. Nell’Antico Testamento, la condizione dei morti non era ancora pienamente illuminata dalla Rivelazione. Si pensava infatti per lo più che i morti fossero raccolti nello sheól, un luogo di tenebre (cfr Ez 28,8; 31,14; Gb 10,21s.; 38,17; Sal 30,10; 88,7.13), una fossa dalla quale non si risale (cfr Gb 7,9), un luogo in cui non è possibile dare lode a Dio (cfr Is 38,18; Sal 6,6).

Il Nuovo Testamento proietta nuova luce sulla condizione dei morti, soprattutto annunciando che Cristo, con la sua risurrezione, ha vinto la morte e ha esteso la sua potenza liberatrice anche nel regno dei morti.

La redenzione rimane tuttavia un'offerta di salvezza che spetta all'uomo accogliere in libertà. Per questo ciascuno verrà giudicato “secondo le sue opere” (Ap 20,13). Ricorrendo ad immagini, il Nuovo Testamento presenta il luogo destinato agli operatori di iniquità come una fornace ardente, dove è “pianto e stridore di denti” (Mt 13,42; cfr 25,30.41), oppure come la Geenna dal “fuoco inestinguibile” (Mc 9,43). Tutto ciò è espresso narrativamente nella parabola del ricco epulone, nella quale si precisa che gli inferi sono il luogo di pena definitiva, senza possibilità di ritorno o di mitigazione del dolore (cfr Lc 16,19-31).

Anche l’Apocalisse raffigura plasticamente in uno “stagno di fuoco” coloro che si sottraggono al libro della vita, andando così incontro alla “seconda morte” (Ap 20,13s.). Chi dunque si ostina a non aprirsi al Vangelo si predispone a “una rovina eterna, lontano dalla faccia del Signore e dalla gloria della sua potenza” (2 Ts 1,9).

3. Le immagini con cui la Sacra Scrittura ci  presenta l’inferno devono essere rettamente interpretate. Esse indicano la completa frustrazione e vacuità di una vita senza Dio. L’inferno sta ad indicare più che un luogo, la situazione in cui viene a trovarsi chi liberamente e definitivamente si allontana da Dio, sorgente di vita e di gioia. Così riassume i dati della fede su questo tema il Catechismo della Chiesa Cattolica: «Morire in peccato mortale senza esserne pentiti e senza accogliere l’amore misericordioso di Dio, significa rimanere separati per sempre da lui per una nostra libera scelta. Ed è questo stato di definitiva auto-esclusione dalla comunione con Dio e con i beati che viene designato con la parola ‘inferno’» (n. 1033).

La ‘dannazione’ non va perciò attribuita all’iniziativa di Dio, poiché nel suo amore misericordioso egli non può volere che la salvezza degli esseri da lui creati. In realtà è la creatura che si chiude al suo amore. La ‘dannazione’ consiste proprio nella definitiva lontananza da Dio liberamente scelta dall’uomo e confermata con la morte che sigilla per sempre quell’opzione. La sentenza di Dio ratifica questo stato.

4. La fede cristiana insegna che, nel rischio del ‘sì’ e del ‘no’ che contraddistingue la libertà creaturale, qualcuno ha già detto no. Si tratta delle creature spirituali che si sono ribellate all’amore di Dio e vengono chiamate demoni (cfr Concilio Lateranense IV: DS 800-801). Per noi esseri umani questa loro vicenda suona come ammonimento: è richiamo continuo ad evitare la tragedia in cui sfocia il peccato e a modellare la nostra esistenza su quella di Gesù che si è svolta nel segno del ‘sì’ a Dio.

La dannazione rimane una reale possibilità, ma non ci è dato di conoscere, senza speciale rivelazione divina, se e quali esseri umani vi siano effettivamente coinvolti. Il pensiero dell’inferno – tanto meno l’utilizzazione impropria delle immagini bibliche – non deve creare psicosi o angoscia, ma rappresenta un necessario e salutare monito alla libertà, all’interno dell’annuncio che Gesù Risorto ha vinto Satana, donandoci lo Spirito di Dio, che ci fa invocare “Abbà, Padre” (Rm 8,15; Gal 4,6).

Questa prospettiva ricca di speranza prevale nell’annuncio cristiano. Essa viene efficacemente riflessa nella tradizione liturgica della Chiesa, come testimoniano ad esempio le parole del Canone Romano: “Accetta con benevolenza, o Signore, l’offerta che ti presentiamo noi tuoi ministri e tutta la tua famiglia … salvaci dalla dannazione eterna, e accoglici nel gregge degli eletti”.