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    SUO UNICO FIGLIO

    Solo poco per volta i discepoli scoprirono in Gesù di Nazaret una presenza speciale di Dio. Solo dopo la sua risurrezione e la pentecoste, ebbero la certezza che Gesù era Dio in persona.

    Che itinerario seguirono gli apostoli per arrivare a questa scoperta? I miracoli.

    I Giudei del tempo di Gesù avevano la testa piena di miracoli. Miracoli grandiosi come le piaghe d’Egitto, il mare diviso dal bastone di Mosè, la manna piovuta dal cielo, ecc. Prima di Gesù i profeti avevano risuscitato morti, guarito lebbrosi, moltiplicato pane e olio, ecc.

    I miracoli di Gesù non erano più sensazionali di quelli dei suoi predecessori. Anzi, paragonato a Mosè, Gesù ne usciva abbastanza ridimensionato: un messia debuttante e dilettante.

    Nonostante che Mosè avesse fatto miracoli più clamorosi di quelli di Cristo, nessuno mai lo aveva creduto Dio. Ciò che attribuisce ai miracoli di Gesù un peso inaudito, una differenza sostanziale, una caratteristica unica rispetto ai miracoli di Mosè e dei profeti, è questo: i miracoli di Gesù sono miracoli personali.

    Gesù aveva il potere personale di fare i miracoli.

    Nell’Antico Testamento i profeti annunziano che Dio farà i miracoli: essi sono solo strumenti. Quando Elia risuscita un ragazzo (1Re 17,17-24) invoca il Signore e il Signore lo ascolta. Quando Gesù risuscita un ragazzo (Lc 7,11-17) fa un semplice gesto, dice una sola parola senza invocare Dio: " Gesù accostatosi toccò la bara..." Poi disse: "Giovinetto, dico a te, alzati!" Il morto si levò a sedere e incominciò a parlare" (Lc 7,14-15).

    Il miracolo (questo e altri) è importante non tanto per il beneficio che produce al fortunato destinatario, ma perché è "un segno", una prova che Dio è d’accordo e mette la sua firma su quanto Gesù fa e dice. Questo sarà l’argomento dimostrativo e convincente che gli apostoli tireranno fuori fin dal primo discorso. "Uomini d’Israele, ascoltate queste parole: Gesù di Nazaret -uomo accreditato da Dio presso di voi per mezzo di miracoli, prodigi e segni che Dio stesso operò fra di voi per opera sua, come voi ben sapete - dopo che, secondo il prestabilito disegno e la prescienza di Dio, fu consegnato a voi, voi l’avete inchiodato sulla croce per mano di empi e l’avete ucciso. Ma Dio lo ha risuscitato, sciogliendolo dalle angosce della morte, perché non era possibile che questa lo tenesse in suo potere" (At 2,22-24).

    I fatti del Vangelo rivelano che Gesù è uomo e Dio. Il Padre ha mandato il Figlio suo a farsi uomo perché in quest’uomo noi conoscessimo e amassimo Dio.

    Gesù è il Figlio unigenito del Padre (Cf. Gv 1,14-18; 5,16-18) venuto a rivelare il vero volto di Dio. "Dio nessuno l’ha mai visto: proprio il Figlio unigenito che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato" (Gv 1,18). E Gesù ci ha presentato Dio come "pluralità" di persone. Ha presentato il Padre, se stesso e lo Spirito santo. "Rispose Gesù: "Se uno mi ama osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. Chi non mi ama non osserva le mie parole: la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato. Queste cose vi ho detto quando ero ancora con voi. Ma il Consolatore, lo Spirito santo, che il Padre manderà nel mio nome, egli vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che vi ho detto" (Gv 14,23-26).

    I vangeli non hanno mai fatto la somma dei Tre, non hanno parlato di Trinità, non usano nemmeno il termine "persona". La realtà di Dio non può essere racchiusa in parole o formule: ci sta stretta o non ci sta affatto.

    John Robinson scrive nel suo libro "Questo non posso crederlo": "Una volta, alla fine di una mia conferenza, qualcuno mi pose questa domanda: "Come insegnerebbe a un bambino la dottrina della Trinità?". Di rado mi ero sentito rivolgere un quesito così facile: "Non gliela insegnerei affatto!".

    John Robinson ha ragione! La Trinità è la famiglia di Dio. Ora le realtà della famiglia non si racchiudono in fredde lezioni, come se fossero matematica o geometria, ma si vivono, e possono essere progressivamente comprese attraverso l’esperienza vissuta.

    Il neonato non sa di avere una famiglia e non sa cosa sia una famiglia. Fin dalle prime settimane di vita si sente circondato da tanto amore, intuisce attorno a sé una tenerezza che risponde a tutte le sue necessità. Coglie questa tenerezza come "una", indistinta, ma onnipotente e buona, attenta e premurosa. In seguito scoprirà che questa presenza è "molteplice" senza cessare di essere "una": voce acuta o grave, viso vellutato o volto barbuto, mani delicate o forti... sono in molti a vivere intorno a lui e per lui lo stesso amore. Poi distinguerà papà e mamma: intuirà che egli è il frutto del loro comune amore; apprenderà che essi vivono l’uno per l’altro e tutti e due per lui, per i fratelli e le sorelle. Tutte queste persone care si imprimeranno chiaramente nella sua mente e nel suo cuore. E per capire tutto questo non ha avuto bisogno di un trattato scientifico e neppure di un corso accelerato.

    Certo, non chiedete a questo bambino di definire filosoficamente la famiglia, la paternità, la maternità, ecc. Ma che importa? La famiglia non è un soggetto da recitare, ma è un luogo d’amore. Il bambino ha appreso che cosa è la famiglia, non attraverso delle formule, ma vedendola vivere e amare, sentendosi in essa amato, cercando di amare come essa e in essa.

    È questo il modo con cui Dio ci ha rivelato il mistero della sua famiglia, della sua vita trinitaria.

    In nessuna pagina della Bibbia troveremo una formula del tipo "un solo Dio in tre persone". Ma fin dalle prime righe della Genesi risulta la presenza di un grande amore attorno a una culla. Vi troviamo il nome del Dio unico in forma plurale -Elohim- e questo Dio creatore parla a se stesso al plurale: "Facciamo l’uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza" (Gen 1,26) come quando più persone si consultano fra loro e arrivano a una decisione comune. Infine facendo l’uomo "a sua immagine" lo crea coppia: "maschio e femmina; li creò" (Gen 1,27) col potere di generare: li creò trinità. Una trinità (padre, madre, figlio) "immagine e somiglianza di Dio".

    Nel Nuovo Testamento, l’angelo annuncia a Maria: "Lo Spirito santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell’Altissimo. Colui che nascerà sarà dunque santo e chiamato Figlio di Dio" (Lc 1,55). Sono tre: l’Altissimo, lo Spirito santo e il Figlio di Dio.

    Dopo il battesimo di Gesù il cielo si aprì e scese su di lui lo Spirito santo in apparenza corporea, come di colomba, e vi fu una voce dal cielo: "Tu sei il mio Figlio prediletto, in te mi sono compiaciuto" (Lc 5,21-22). La voce del Padre sul Figlio prediletto e la discesa dello Spirito.

    Gesù inizia il suo primo discorso pubblico con queste parole della Scrittura: "Lo Spirito del Signore è sopra di me" (Lc 4,18). "Oggi si è adempiuta questa scrittura che voi avete udita con i vostri orecchi" (Lc 4,21). Lo Spirito del Signore (del Padre) sul Figlio. Ancora la Trinità. Ecc.

    Venuto ad abitare in mezzo a noi (cfr. Gv 1,14), il Verbo (ossia la Parola: colui mediante il quale il Padre ci parla), Gesù, non si comporta da professore, non impartisce lezioni sulla Trinità, non fa abbozzi geometrici (ricordate il triangolo con scritto "Dio"?!), non usa termini filosofici (natura, persona, essenza, sostanza). Vive semplicemente, vive com’è. Vive da Figlio unigenito del Padre. Ad ogni pagina del vangelo, Gesù ha nella mente e nel cuore la volontà del Padre, prega il Padre (lo chiama Abbà, papà), vive esclusivamente per il Padre.

    Gesù Figlio unico di Dio parla di suo Padre come di una persona nettamente distinta da lui (cfr. Gv 17,10). Tra lui e il Padre vi è distinzione netta e tuttavia unità perfetta: "Io e il Padre siamo una cosa sola" (Gv 10,30); "Chi ha visto me, ha visto il Padre" (Gv 14,9).

    Verso la fine della sua vita Gesù annuncia una terza persona divina: "il Consolatore, lo Spirito Santo, che il Padre manderà nel mio nome..." (Gv 14,26). Uno Spirito perfettamente distinto dal Padre e dal Figlio.

    La rivelazione, dunque, ci presenta delle persone distinte: Padre, Figlio e Spirito Santo, ognuna è persona distinta, e nello stesso tempo ci dice la loro unità in un solo Dio.

    Dalla risurrezione del Figlio e dall’effusione dello Spirito è nata la Chiesa alla quale Gesù ha dato un ordine: "Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo..." (Mt 28,19). La vita della Chiesa è completamente penetrata da questo mistero trinitario (segno di croce, orazioni, sacramenti, ecc.). Essa non si preoccupa tanto di darci spiegazioni e ragioni, quanto piuttosto di intrecciare rapporti di familiarità con le persone divine, di farci vivere con esse e in esse, di metterci in comunione col Padre, col Figlio e con lo Spirito nella preghiera e nell’amore.

    Le porte di questo mistero non si aprono col grimaldello dell’intelligenza o con la perspicacia delle formule, ma si spalancano solo all’amore. "Se uno mi ama... il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui... e lo Spirito santo che il Padre manderà in mio nome, v’insegnerà ogni cosa" (Gv 14, 23-26). "Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai voluto nella tua bontà" (Mt 11,25-26).

    Arrivato a questo punto, qualcuno potrebbe esclamare: "Finalmente ho capito il mistero di Dio-Trinità!". No, assolutamente. Ci siamo solo avvicinati al mistero.

    Quando si tratta di Dio (ma anche delle persone umane!) possiamo solamente supporre il loro mistero, intravederlo, intuirlo senza poterlo veramente afferrare e esprimere con nozioni chiare e formule esatte. Prendiamo la vita, la nostra, quella di un animale o di una pianta: ebbene nessuno scienziato sa dirci che cosa sia esattamente. Eppure la vita è in noi, attorno a noi, vi siamo immersi. Nonostante questo, non esiste nessuna possibilità di definirla in termini perfetti. Abbiamo una certa intuizione di che cosa sia la vita, ma il suo mistero essenziale ci sfugge. Non conosciamo neppure noi stessi.

    Eppure noi continuiamo a vivere, tentando di balbettare su quanto viviamo pur sapendo che la vita e le persone non si mettono in formule. A maggior ragione quando si tratta della vita di Dio. Abbiamo a disposizione solo parole inadeguate, "ingannatrici", e tentiamo di costruirci delle immagini con specchi deformanti. La strada più adeguata è ancora e sempre quella dell’amore. "Carissimi, amiamoci gli uni gli altri, perché l’amore è da Dio; chiunque ama è generato da Dio e conosce Dio. Chi non ama, non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore" (1 Gv 4,7-8).

    Dio si rivela come qualcuno e non come un complesso di forze vaghe e stemperate nella natura. Ha un nome proprio. È una persona.

    Persona (in greco: pros-opon = sguardo verso; in latino: persona = risuonare attraverso, parola verso) indica un essere che dialoga e ha dei rapporti.

    Se l’Assoluto, Dio, è persona ancora prima della creazione, non può essere un singolo, altrimenti non sarebbe "sguardo verso" qualcuno, "parola verso" qualcuno, "rapporto con qualcuno". Da sempre, quindi il nostro Dio "unico" è anche "pluralità".

    Dio si è rivelato come Amore (1Gv 4,8). E si può essere amore solo nei confronti di un’altra persona. Una persona che fosse sola a esistere non potrebbe amare, oppure amerebbe se stessa e questo sarebbe puro egoismo, il contrario esatto dell’amore, l’opposto di Dio, perché Dio è amore.

    Dio è essenzialmente "pluralità di persone" ed, essendo personale, è fondamentalmente rapporto e dialogo.

    Questo termine "dialogo" ci aiuta a comprendere cosa significa: "In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio... E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi" (Gv 1,1-14).

    Il termine greco usato da Giovanni è "logos". La sua traduzione latina "verbum" sfortunatamente è stata trascritta e non tradotta in italiano. Verbo significa Parola. Dio è Logos, Parola, perché è amore, rapporto; non parla eternamente da solo, ma è dialogo. Gesù è la Parola vivente del Padre, Parola eterna, da duemila anni Parola incarnata.

    All’inizio del IV secolo, verso l’anno 320, viveva ad Alessandria d’Egitto un prete austero, pio e colto di nome Ario. A grandi linee il suo insegnamento era questo: "Dio è uno, eterno non generato. Gli altri esseri sono creature, il Logos per primo. Come tutte le altre creature, il Logos è stato tratto dal nulla e non dalla sostanza divina; ci fu un tempo in cui non esisteva. È stato creato mediante un atto libero di Dio. Creatura di Dio, il Logos è a sua volta, creatore degli altri esseri; questo rapporto giustifica il titolo di Dio che gli è dato impropriamente. Dio lo ha adottato come figlio ma da questa filiazione adottiva non discende alcuna partecipazione reale alla divinità, alcuna somiglianza con Dio. Dio non può avere uno che gli assomigli. Lo Spirito Santo è la prima creatura del Logos e quindi ancora meno Dio del Logos stesso...".

    Era la totale distruzione di Cristo e del cristianesimo!

    L’imperatore Costantino convocò il primo concilio "ecumenico" (300 vescovi quasi tutti orientali) a Nicea in Bitinia. Era l’anno 325.

    I vescovi condannarono la dottrina di Ario e si permisero di aggiungere qualcosa al simbolo degli apostoli. Abbiamo così il simbolo di Nicea completato successivamente a Costantinopoli (a. 381), il simbolo che recitiamo durante la messa.

    Cerchiamo di comprenderlo.

    Unigenito Figlio di Dio. Gesù Cristo è il solo generato, figlio per generazione e non per adozione. Questo termine "unigenito" è nel vangelo di Giovanni: "Noi vedemmo la sua gloria, gloria come di unigenito dal Padre" (Gv 1,14). "Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito" (Gv 3,16).

    Nato dal Padre. L’espressione "nato da" non si trova nella Scrittura, ma vi si trova una espressione ancora più forte: "Figlio unigenito che è nel seno del Padre" (Gv 1,18).

    Prima di tutti i secoli. Per noi generazione e nascita richiamano necessariamente l’idea dell’inizio, la preesistenza del padre e della madre rispetto al figlio ecc. perché ogni generazione umana avviene nel tempo. Non così per la nascita del Figlio di Dio. È una nascita prima dell’inizio, una nascita eterna. Il Padre e il Figlio sono coeterni (come di due persone nate nello stesso anno si dice coetanei).

    Dio da Dio. Il Padre è Dio. Quindi il Figlio è Dio. La divinità del Figlio è la stessa del Padre. "Tutto quello che il Padre possiede è mio" (Gv 16,15).

    Luce da luce. "Dio è luce" (1Gv 1,5), è "il Padre della luce" (Gc 1,17). Gesù dice di se stesso: "Io sono la luce" (Gv 8,12). Non "una" luce, ma "la" luce.

    Dio vero da Dio vero. Non Dio nominalmente o per adozione o per partecipazione, ma Dio vero, senza lasciare scappatoie o possibilità di equivoci.

    Generato non creato. Ario diceva: Dio Padre è "ingenerato", ma il Figlio è "fatto", è una "creatura". Il concilio risponde: il Verbo non è "fatto" o "creato"; è "generato" dal Padre.

    Della stessa sostanza del Padre. Omoousios è un termine tecnico della filosofia. Qui, in questo preciso contesto, significa che il Padre e il Figlio hanno in comune una sola e identica divinità.

    Per mezzo di lui tutte le cose sono state create. Tutta la creazione è stata fatta per mezzo di questo Figlio che non era stato "fatto". "Tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui niente è stato fatto, di tutto ciò che esiste" (Gv 1,3). "Egli (il Figlio) è immagine del Dio invisibile, generato prima di ogni creatura; poiché per mezzo di lui sono state create tutte le cose, quelle nei cieli e quelle sulla terra, quelle visibili e quelle invisibili... Tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui. Egli è prima di tutte le cose e tutte sussistono in lui" (Col 1,15-17).

    Tutto questo ha aggiunto il concilio di Nicea (a. 325) perché non fosse più possibile nessun equivoco e perché si sapesse, in conformità al vangelo, che Gesù è Dio. Il primo concilio di Costantinopoli (a. 381) inserirà nel simbolo le affermazioni riguardanti lo Spirito Santo per togliere ogni ombra di dubbio sulla divinità della terza persona della Trinità.

    S. Paolo parla della conoscenza di Dio nell’"oggi" di questa vita in contrapposizione a quella che si avrà nell’"allora" della visione del cielo. "Ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa; ma allora vedremo a faccia a faccia" (1Cor 13,12).

    In attesa della visione "a faccia a faccia", accontentiamoci di guardare nello specchio.

    Gli specchi in cui possiamo vedere la santissima Trinità "in maniera confusa" sono diversi. Il triangolo, coi suoi tre angoli comprendenti ciascuno una superficie unica e comune soddisferà l’arida intelligenza del matematico. Il filosofo preferirà entrare in se stesso e analizzarsi seguendo un ragionamento che potrebbe essere formulato così: "Io penso... E penso un pensiero che viene da me, senza essere me stesso, un pensiero che esprimo in una "parola", in un logos che procede da me, come figlio della mia intelligenza... Sperimento in me una terza forza: amo, e il mio amore scaturisce da me come un "alito" di tenerezza che diffonde veramente attorno a me la vita...". Un solo essere, tre potenze realmente distinte: un’analogia che sottolinea adeguatamente l’unità della natura in Dio, ma a scapito della trinità delle persone perché questo io del filosofo è una persona sola.

    Guardiamo piuttosto lo specchio dell’amore, perché che s. Giovanni, in un passo ispirato delle Scritture, ci dà di Dio questa "definizione": "Dio è amore" (1Gv 4, 8.16). Questo specchio, meno intellettuale dei precedenti è più eloquente, riflette meglio l’esperienza umana e ha un forte appoggio nel libro della Genesi. Dio disse: "Facciamo l’uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza..." Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò. Dio li benedisse e disse loro: "Siate fecondi e moltiplicatevi..." Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona (Gen 1,26-31). Dio ci ha insegnato che è una famiglia, Padre, Figlio e Spirito. La famiglia umana, quindi, ci mette sulla strada buona: essa e "l’uomo a immagine e somiglianza di Dio", è lo specchio vivente più terso di Dio-Trinità.

    Certamente, immagine imperfetta! Ma è pur vero che nel profondo della nostra esperienza familiare troviamo una pallida, ma sconvolgente idea, come un invito e una nostalgia di ciò che Dio vive nel cuore della Trinità.

    "Molti cristiani di oggi, senza saperlo, coltivano un certo platonismo. Essi bruciano il loro granello d’incenso al mito del Dio greco, individuo perfetto, immobile e splendente, mentre il mistero rivelato da Gesù è quello di una famiglia di tre persone talmente unite dall’amore da essere UN Dio" (F. Varillon).

    Troppi battezzati, nella loro fede e nella loro preghiera, pensano d’aver solo rapporti col Dio unico che pregano alla maniera degli ebrei o dei musulmani, ignorando praticamente le tre Persone. La rivelazione e la liturgia ci invitano a incontrare personalmente il Padre, il Figlio e lo Spirito santo.

    "Il mistero della Trinità è il mistero della famiglia (o comunità) divina. Un Dio unipersonale (che fosse una persona sola) non sarebbe un Dio vivente. La Trinità non è una "variazione" sul basso continuo della divinità, qualunque cosa ne dica il filosofo. Non è, per il cristiano, una "sovrastruttura". Per questo dobbiamo guardarci dall’insegnare prima di tutto Dio e successivamente la Trinità. Ma prima la Trinità, Dio, in tre persone. Il buon Dio è il Dio amore, il Dio Trinità" (F. Varillon).