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    IO CREDO IN DIO

    Tutti sono credenti, tutti un po’ increduli. La frase famosa "credo solo quello che vedo" è falsa e contraddittoria. Quando si vede non c’è più bisogno di credere, si constata. Ma non si può vedere tutto e constatare tutto. Ecco allora la necessità della fede: si crede perché lo dice uno che ha visto, sentito, constatato. E non è possibile vivere diversamente. Si crede alla moglie, al giornale; si crede in Dio, nel vangelo...

    Certo, ognuno dice la sua. "Dio esiste, io l’ho incontrato" dice il credente. "Dio non esiste, non l’ho mai incontrato" dice l’altro. Ora i cristiani affermano che Dio si è manifestato, che continuamente si rivela, parla, risponde alla domanda che arde nel cuore dell’uomo. È la rivelazione: parola di Dio all’uomo per farsi conoscere dall’uomo.

    Dio si rivela nella creazione. Tutto l’universo delle cose visibili è segno e manifestazione di intelligenza, di bontà, di amore. Per molti tutto questo dà origine a una fede rudimentale: la fede di chi crede a Dio, ossia crede che Dio esiste e che deve essere adorato.

    Dio, innamorato dell’uomo sua creatura, ci parla soprattutto attraverso la sua presenza nella storia umana. La rivelazione giudeo-cristiana completa lo svelarsi di Dio al mondo: Dio è Qualcuno. La storia lo tocca con mano nel corpo stesso di Gesù Cristo nel quale abita tutta la pienezza della divinità (Col 2,9). Di conseguenza non si tratta più di credere a Dio, alla sua esistenza, ma di credere in Dio che parla e si rivela. Per credere a qualcuno basta vederlo o sentirne parlare. Per credere in qualcuno è necessario che egli ci ami e che noi lo contraccambiamo almeno un poco.

    Chi vuole conoscere le tappe di questa presenza di Dio nella nostra storia umana apra la Bibbia che è il libro di famiglia in cui Dio e l’uomo raccontano la storia travagliata del loro amore. Dio, come ognuno che ama veramente, agisce più che parlare, fa quello che dice e dicendo spiega ciò che fa. Tutto il suo agire è amore e tenerezza. Basta che il cuore dell’uomo si apra a questa tenerezza divina, ed è subito la fede.

    La fede in Dio non è un fatto che si impone universalmente e obbligatoriamente. Di fatto esistono credenti e non credenti e i loro rapporti non sempre sono improntati a rispetto e ad amore vicendevole. Molti credenti pensano che ogni persona onesta può conoscere Dio senza esitazione e difficoltà e concludono dicendo che gli atei sono o degli stupidi o dei disonesti. A favore della loro affermazione citano la parola di Dio e il magistero della Chiesa. "In realtà l’ira si rivela dal cielo contro ogni empietà e ogni ingiustizia di uomini che soffocano la verità nell’ingiustizia, poiché ciò che di Dio si può conoscere è loro manifesto; Dio stesso lo ha loro manifestato. Infatti, dalla creazione del mondo in poi, le sue perfezioni invisibili possono essere contemplate con l’intelletto nelle opere da lui compiute, come la sua eterna potenza e divinità; essi sono dunque inescusabili, perché, pur conoscendo Dio, non gli hanno dato gloria né gli hanno reso grazie come a Dio, ma hanno vaneggiato nei loro ragionamenti e si è ottenebrata la loro mente ottusa" (Rm 1,18-21). "Il sacro concilio professa che Dio, principio e fine di tutte le cose, può essere conosciuto con certezza con il lume naturale della umana ragione dalle cose create" (DV 6).

    Ma bisogna fare i conti con la mediocrità dei credenti e dei cristiani in particolare: i credenti e le loro chiese presentano spesso un volto di Dio deformato e inaccettabile. Lo dice il magistero della Chiesa: "Senza dubbio, coloro che volontariamente cercano di tenere lontano Dio dal proprio cuore e di evitare i problemi religiosi, non seguendo l’imperativo della loro coscienza, non sono esenti da colpa; tuttavia in questo campo, anche i credenti spesso hanno una certa responsabilità. Infatti l’ateismo deriva da cause diverse e tra queste va annoverata anche una reazione critica contro le religioni e, in alcune regioni, proprio anzitutto contro la religione cristiana. Per questo nella genesi dell’ateismo possono contribuire non poco i credenti, in quanto per aver trascurato di educare la propria fede, e per una presentazione fallace della dottrina, o anche per i difetti della propria vita religiosa, morale e sociale, si deve dire piuttosto che nascondono e non che manifestano il genuino volto di Dio e della religione" (Gs 19).

    Bisogna concludere che la fede nell’esistenza di Dio è possibile. Di fatto molti ci sono arrivati. Altri purtroppo no, per motivi che forse solo loro conoscono. Non tocca a noi giudicare. "Dio giudicherà i segreti degli uomini" (Rm 2,16). "Tutti infatti ci presenteremo al tribunale di Dio... Ognuno renderà conto a Dio di se stesso. Cessate dunque dal giudicarvi gli uni gli altri; pensate invece a non essere causa d’inciampo o di scandalo al fratello" (Rm 14,10-13).

    Forse noi abbiamo sulla coscienza qualche ateo perché non siamo stati credenti credibili.

    Di fatto, la ragione umana non è arrivata a costruire una rigorosa dimostrazione dell’esistenza di Dio. Non possiamo parlare di "prove", ma solamente di "vie" verso Dio, di accostamenti a Dio attraverso la ragione. Dio è discreto e non vuole imporsi. L’esistenza di Dio non è scientificamente evidente e documentabile come il giorno e la notte. No, l’esistenza di Dio non è evidente. E ancor meno la sua natura. "Dio nessuno l’ha mai visto" (Gv 1,18).

    Dio abita una luce inaccessibile; nessuno fra gli uomini l’ha mai visto né può vederlo (cf. 1Tm 6,16).

    Il regista Clouzot diceva "Ciò che mi aiutò a credere fu l’assenza di prove dell’esistenza di Dio. Dio nascosto. Per me, questa assenza di prove è la prima prova. Infatti, se Dio rispetta l’uomo, deve voler da parte nostra un’adesione libera; non ci deve porre nella necessità di credere in lui". Dio o è invisibile o non esiste. Invisibile come il mio spirito, il mio amore, il mio principio vitale, ma infinitamente più grande, di quella grandezza che non entra nelle dimensioni misurabili. Sì, Dio è un Dio nascosto perché è Dio!

    Ma questo Dio invisibile non potrebbe essere una bella illusione?

    S. Giovanni, dopo la frase: "Dio nessuno l’ha mai visto" soggiunge: "proprio il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato" (Gv 1,18).

    È vero, non abbiamo mai visto Dio. Ma se crediamo, è perché Dio ha parlato, ha interpellato l’uomo per dirgli la propria esistenza, per rivelargli il proprio nome, per svelargli il suo amore, i suoi progetti. Dio fa irruzione nel mondo degli uomini per amore. Parla ad Abramo, a Mosè, a tutto il popolo d’Israele. E infine parla nell’umanità visibile, tangibile di Gesù di Nazaret: Dio fatto uomo, annunciato nelle Scritture, incarnato nella storia, duemila anni fa, in Palestina, morto sotto Ponzio Pilato, risorto e glorificato, sempre presente nella Chiesa e sempre operante nel mondo. Ecco la fonte del cristianesimo.

    Ma non ci sono solo i cristiani a credere in Dio. Sotto una forma o l’altra tutto il mondo conosciuto ha affermato l’esistenza di Dio. Oggi egli continua ad animare un dibattito sempre acceso tra chi lo afferma e chi lo nega: è sempre uno dei temi più ricorrenti e insistenti. Rari sono coloro che rifiutano una credenza senza rifugiarsi in un’altra. Non ci si scarica troppo facilmente di Dio, tanto numerose sono le ragioni per credere che c’è un Dio.

    1.1 Ma quale Dio?

    Solo Dio può parlare rettamente di Dio. Per conoscerlo bisogna ascoltare la sua parola, leggere e rileggere la Bibbia e soprattutto il Vangelo.

    È necessario che prendiamo le debite distanze da un certo linguaggio su Dio. È il linguaggio, per intenderci, di certi catechismi del passato: quello delle formule astratte e magniloquenti.

    Allora, era tutto falso? No, non era falso. Ma Dio non parla in questo modo di se stesso. Un simile linguaggio aveva poca presa allora e ora non ne avrebbe affatto.

    Il Concilio Vaticano II ci ha invitati a cambiare linguaggio, "a sempre ricercare modi più adatti di comunicare la dottrina cristiana agli uomini della nostra epoca, perché altro è il deposito o le verità della fede, altro è il modo in cui vengono enunciate, rimanendo pur sempre lo stesso il significato e il senso profondo" (Gs 62).

    L’umanità sta vivendo la più grande metamorfosi della sua storia. Una metamorfosi mai vista; non la prima, ma la più macroscopica. Lo stesso Dio vuole essere presentato a questa umanità concreta con formule nuove, o meglio, con le formule antiche che lui stesso ha usato, ma ripulite dalle incrostazioni che i secoli, le filosofie e le teologie vi hanno depositato. La Chiesa, se vuole che la sua dottrina sia compresa, non ha altro mezzo che la cultura e le forme di pensiero del tempo e del luogo in cui essa vive.

    In passato la filosofia greca di Platone e di Aristotele, la filosofia ancella della teologia, ha fatto spesso da padrona. Così certe nostre idee su Dio, che crediamo cristiane, in realtà spesso sono un modo di vedere della filosofia pagana che abbiamo sovrapposto a quanto ci dice la Bibbia e soprattutto il Vangelo.

    Il papa Giovanni XXIII nel discorso di apertura del Concilio Vaticano II (11 Ottobre 1962) afferma: "Lo scopo principale di questo Concilio non è la discussione di questo o quel tema della dottrina fondamentale della Chiesa... Per questo non occorreva un concilio. Ma dalla rinnovata, serena e tranquilla adesione a tutto l’insegnamento della Chiesa nella sua interezza e precisione... lo spirito cristiano, cattolico ed apostolico del mondo intero, attende un balzo innanzi verso una penetrazione dottrinale e una formazione delle coscienze; è necessario che questa dottrina certa ed immutabile, che deve essere fedelmente rispettata, sia approfondita e presentata in modo che risponda alle esigenze del nostro tempo. Altra cosa è infatti il deposito stesso della fede, vale a dire le verità contenute nella nostra dottrina, e altra cosa è la forma con cui quelle vengono enunciate, conservando ad esse tuttavia lo stesso senso e la stessa portata. Bisognerà attribuire molta importanza a questa forma e, se sarà necessario, bisognerà insistere con pazienza nella sua elaborazione; e si dovrà ricorrere ad un modo di presentare le cose, che più corrisponda al magistero, il cui carattere è preminentemente pastorale".

    Per farla breve, noi crediamo nel Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, nel Dio di Gesù Cristo: un Dio vivente, non il dio immobile dei filosofi; un Dio di ieri, di oggi, che va verso un domani, un Dio storico, che vive la storia con noi, in mezzo a noi, sulla nostra terra d’uomini. Dio non è "altrove". Non esiste un "altrove". C’è solo il "Dio con noi", l’Emmanuele. Il Dio che si è rivelato in Gesù Cristo. "Se conoscete me, conoscerete anche il Padre; fin da ora lo conoscete e lo avete veduto... Chi ha visto me ha visto il Padre... Io sono nel Padre e il Padre è in me" (Gv 14,7-11). Gesù Cristo è l’unico, in senso assoluto, che può farci conoscere il vero Dio. "Nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare" (Mt 11,27).

    Noi crediamo, appunto, in questo Dio che Gesù ci rivela, in questo Dio imprevedibile e sconvolgente: questo è il Dio che dobbiamo annunciare ai nostri figli e al mondo. Non dobbiamo quindi aver paura di cambiare linguaggio, liberandoci dalle filosofie del passato senza incappare in quelle del presente.

    1.2 In un solo Dio

    "Credo in un solo Dio" non è una dichiarazione che ci lascia beatamente tranquilli: è un grido rivoluzionario, è una dichiarazione di guerra.

    Credo in un solo Dio e rifiuto tutti gli idoli. Rifiuto le divinità davanti alle quali si prostra e si prostituisce il mondo: il potere, il sesso, il dio quattrino che compra quasi tutto e quasi tutti, le filosofie, le ideologie... .

    Nell’impero romano era necessario adorare l’imperatore e altre divinità. I primi cristiani erano, quindi, perseguitati come atei. S. Giustino martire (+165 d.C.) affermava: "È vero: dato che non crediamo agli idoli dei pagani, siamo gli atei di questi presupposti dei".

    "Credo in un solo Dio" significa rifiuto di ogni potere assolutistico, sia civile che religioso: rifiuto di atteggiamenti servili davanti ai grandi e ai potenti. Maria ha proclamato: "Ha spiegato la potenza del suo braccio, ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore; ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili; ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato a mani vuote i ricchi" (Lc 1,51-53). Dobbiamo abbattere la selva delle false divinità che umiliano la nostra dignità umana e bloccano la crescita della vera libertà. Solo l’adorazione dell’unico Dio è liberante. Servire Dio è regnare!

    La professione di fede in un solo Dio costituisce un programma d’incalcolabile importanza politica. Da una parte conferisce a ogni uomo un carattere assoluto a causa del suo riferimento personale a Dio; dall’altra relativizza tutte le società politiche e religiose: esse, o si radicano in questo Dio unico e lo servono, o non sono nulla e non possono pretendere nulla.

    Senza l’adorazione cieca di molti cristiani per il potere di Hitler, il nazismo e l’ultima guerra sarebbero stati impossibili. Sarebbe bastato che tutti i cristiani avessero detto in spirito e verità: "Credo in un solo Dio!". Sonnecchiare sul proprio credo porta a gravi conseguenze. Il Credo non è un testo da declamare o da abbellire coi ghirigori del canto gregoriano, della polifonia o della musica moderna: bisogna viverlo!

    Il potere è servizio; diversamente è un idolo che corrompe l’uomo e la società.

    Il sesso è a servizio dell’amore e della vita; non è un bene di consumo o uno svago. Sganciato dal progetto e dalle finalità affidategli da Dio, diventa il dio-sesso. Ha molti adoratori!

    L’anti-dio per eccellenza è il denaro. Gesù ha cacciato l’anti-dio dalla casa di Dio (Mt 21,12-13) perché Dio non è in vendita. Nella casa di Dio non c’è nulla da vendere e nulla da comperare: Dio è amore e gratuità. "Un servitore non può servire due padroni: o odierà l’uno e amerà l’altro oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza" (Lc 16,13).

    "L’avidità del denaro è la radice di tutti i mali" (1Tm 6,10). Cristo fu tradito per denaro (Mc 14,10-11) e l’affare continua!

    A questo punto forse sentiamo già qualcosa che stride dentro di noi. Ci stiamo accorgendo di essere superficiali, di essere "gente di poca fede" (Mt 6,30). Ci verrebbe spontaneo cambiare il "Credo in un solo Dio" in "Credevo di credere in un solo Dio". Sarebbe un atto di umiltà doveroso e commovente, ma non può diventare accomodante. Il Credo è il simbolo, la parola di riconoscimento, la carta di identità dei cristiani. Più ancora, il Credo è, a grandi linee, lo schizzo della vera immagine di Dio e della storia della salvezza: non può essere cambiato. Dobbiamo convertirci al Credo se vogliamo essere cristiani credenti e credibili.