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    IL TERZO GIORNO RISUSCITÒ DA MORTE

    Cosa significa: "Il terzo giorno è risuscitato secondo le Scritture"? Quali Scritture? Dove sta scritto?

    Si è d’accordo nel vedere il punto di partenza di questa formula nel libro del profeta Osea: "Venite, ritorniamo al Signore: egli ci ha straziato ed egli ci guarirà. Egli ci ha percosso ed egli ci fascerà. Dopo due giorni ci ridarà la vita e il terzo giorno ci farà rialzare e noi vivremo alla sua presenza" (Os 6,1-2).

    Il targum (traduzione-attualizzazione-commento in aramaico della Scrittura) interpreta così questo testo: "Ci farà vivere nel giorno delle consolazioni che devono venire; nel giorno in cui farà rivivere i morti, ci farà risorgere e noi vivremo davanti a lui".

    Un commento rabbinico su Gen 22,4 ("Il terzo giorno Abramo alzò gli occhi e da lontano vide quel luogo") afferma: "Il terzo giorno, cioè quello nel quale la vita viene restituita ai morti, secondo quanto è scritto in Osea: Il terzo giorno ci farà risorgere e noi vivremo davanti a lui".

    All’epoca di Cristo quando si parlava del "terzo giorno secondo le Scritture" non si voleva dunque intendere una semplice annotazione cronologica (il posdomani), ma un contenuto teologico "il giorno della risurrezione generale" alla fine dei tempi.

    Dicendo che Gesù è risorto "il terzo giorno secondo le Scritture", i discepoli non intendono dare una data, ma proclamare la loro fede: il giorno della risurrezione generale (il terzo giorno) è già venuto con la risurrezione di Cristo, la nostra risurrezione è già realizzata in Gesù.

    Fatta questa doverosa spiegazione, accostiamoci all’evento pasquale seguendo tre tappe.

    1) I discepoli di Gesù gridano la loro fede: il kerygma;

    2) I discepoli di Gesù celebrano la loro fede: credo e cantici;

    3) I discepoli di Gesù raccontano la fede: i racconti evangelici.

    1) Il kerygma. Negli Atti degli Apostoli sono riportati molti discorsi: otto di Pietro, nove di Paolo e sette di altre persone. Leggendo questi discorsi possiamo vedere come i primi cristiani proclamavano la loro fede. La maggior parte di questi discorsi sono rivolti ai giudei o ai pagani per indurli alla conversione. È qui che cercheremo di scoprire il messaggio essenziale: il kerygma. Ne proponiamo cinque, in cui partendo da situazioni diverse, Pietro, Paolo e Giovanni dicono solennemente le stesse tre cose:

    Questi documenti rappresentano quanto di più antico abbiamo nella letteratura cristiana. Il loro contenuto assolutamente simile, il loro linguaggio arcaico infarcito con modi di dire aramaici, ci portano necessariamente ad ammettere che tali discorsi non furono "ricomposti" da san Luca quando redasse gli Atti (verso l’anno 80), ma furono ripresi e tradotti da documenti aramaici, trasmessi dalla Chiesa delle origini.

    2) Credo e cantici. Verso l’anno 45, s’inizia nella Chiesa a mettere per scritto i ricordi e l’insegnamento orale degli apostoli. A questo materiale scritto attingeranno gli evangelisti e san Paolo. I testi più antichi del Nuovo Testamento sono appunto le lettere di s. Paolo, a partire dal 50. Il primo dei nostri vangeli (Marco) sarà redatto all’epoca della morte di Paolo, nel 67.

    Per quanto riguarda la risurrezione del Signore, limitiamoci alle cose più tipiche.

    Paolo aveva fondato la Chiesa di Corinto nel 50-51. Nella primavera del 56 scrive a questa comunità: "Vi rendo noto, fratelli, il vangelo che vi ho annunziato e che voi avete ricevuto, nel quale restate saldi, e dal quale anche ricevete la salvezza, se lo mantenete in quella forma in cui ve l’ho annunziato. Altrimenti, avreste creduto invano! Vi ho trasmesso dunque, anzitutto, quello che anch’io ho ricevuto: che cioè Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture, fu sepolto ed è risuscitato il terzo giorno secondo le Scritture, e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici. In seguito apparve a più di cinquecento fratelli in una sola volta: la maggior parte di essi vive ancora, mentre alcuni sono morti. Inoltre apparve a Giacomo, e quindi a tutti gli apostoli. Ultimo fra tutti apparve anche a me come a un aborto" (1Cor 15,1-8).

    "Vi ho trasmesso": Paolo continua una "tradizione" già fissata in un credo battesimale che l’apostolo ha lui stesso ricevuto a Damasco in occasione della sua conversione verso il 34-35.

    Né gli Atti degli apostoli né Paolo descrivono la risurrezione. L’affermano come un fatto, attuale, incontestabile, di cui vivono, per il quale muoiono e di cui proclamano il significato partendo dalle Scritture. Per la Chiesa primitiva importa una sola cosa: Gesù è risorto! "Se confesserai con la tua bocca che Gesù è il Signore e crederai con il tuo cuore che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvo" (Rm 10,9). "Noi crediamo infatti che Gesù è morto e risuscitato; così anche quelli che sono morti, Dio li radunerà per mezzo di Gesù insieme con lui" (1Ts 4,14).

    Nelle lettere degli apostoli, nei vangeli e nell’Apocalisse si trovano cantici composti dalle prime comunità nei quali è chiaramente cantata la fede nella risurrezione di Cristo. Ne riportiamo due. "Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù, il quale, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce. Per questo Dio l’ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome; perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra; e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre" (Fil 2,5-11).

    "Possa egli (il Padre) davvero illuminare gli occhi della vostra mente per farvi comprendere a quale speranza vi ha chiamati, quale tesoro di gloria racchiude la sua eredità fra i santi e qual è la straordinaria grandezza della sua potenza verso di noi credenti secondo l’efficacia della sua forza che egli manifestò in Cristo, quando lo risuscitò dai morti e lo fece sedere alla sua destra nei cieli, al di sopra di ogni principato e autorità, di ogni potenza e dominazione e di ogni altro nome che si possa nominare non solo nel secolo presente ma anche in quello futuro.

    Tutto infatti ha sottomesso ai suoi piedi e lo ha costituito su tutte le cose a capo della Chiesa, la quale è il suo corpo, la pienezza di colui che si realizza interamente in tutte le cose" (Ef 1,18-23).

    3) I racconti evangelici. Abbiamo udito i discepoli annunciare la loro fede ai non credenti (il kerygma) e celebrarla nelle loro comunità (credo, cantici). Il centro di questa fede è sempre uguale: Dio ha risuscitato, glorificato, fatto Signore, questo Gesù che era stato crocifisso.

    La stessa fede viene espressa anche nei racconti evangelici. Qui non si afferma la fede in brevi formule, ma la si racconta, la si fa vedere. Il racconto evangelico corrisponde al bisogno di una comunità già costituita che vuole saperne di più sul significato dell’evento.

    I racconti non dicono sugli avvenimenti più di quanto già sapevamo dalle brevi formule del kerygma; essi lo dicono solamente in un altro modo e ne sviluppano il significato.

    I quattro vangeli seguono, in ordine di tempo, immediatamente le lettere di Paolo. Il vangelo di Marco è composto negli anni 67/70, quello di Luca tra il 70 e 1’80, quello di Matteo verso gli anni 80, quello di Giovanni negli ultimi anni del primo secolo.

    Nei vangeli non c’è un racconto della risurrezione e questa assenza del racconto della risurrezione è la migliore garanzia che i vangeli non sono opera di falsari. Gli apocrifi ci avrebbero sommersi con un’infinità di particolari. In se stessa, dunque, la risurrezione non ebbe testimoni.

    Alcune persone andarono al sepolcro di Gesù il mattino di Pasqua e lo trovarono vuoto. È questo il solo racconto comune ai quattro vangeli. La tomba vuota non prova niente, non spiega niente, ma rinvia al mistero, a una rivelazione angelica: "Non è qui" (Mt 28,6).

    Se ci fosse stato solo il sepolcro vuoto, non avremmo mai avuto una fede pasquale. Quest’ultima nasce perché ci furono le apparizioni di Cristo. Ma se la tomba non fosse stata vuota, le apparizioni non sarebbero state credibili.

    Gli apostoli e i discepoli non hanno visto uno spirito evanescente, disincarnato, un fantasma, ma lui realmente vivo. Gesù stesso li assicura: "Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate; un fantasma non ha carne e ossa come vedete che io ho" (Lc 24,39). Invita Tommaso a fare la ricognizione delle sue cicatrici (Gv 20,27). Condivide il loro cibo (Gv 21,12). È veramente presente nell’evidenza della sua realtà fisica.

    La risurrezione è tutto il contrario di un avvenimento inventato dai discepoli. Tale avvenimento si è imposto loro dall’esterno, li ha convinti nonostante la loro incredulità: "Ancora non credevano ed erano stupefatti" (Lc 24,41). Tommaso rimarrà famoso fino alla fine dei secoli per la sua incredulità; solo l’evidenza palpabile del fatto lo costringerà ad arrendersi. Paolo sulla strada di Damasco ha tutto fuorché la fede quando il Signore lo atterra: era un non credente militante che si prodigava a perseguitare i credenti. Gesù ha imposto l’evidenza della sua risurrezione a persone che non credevano e che vedendolo davanti a loro, cominciarono a dubitare della stessa evidenza (cfr Mt 28,17; Mc 16,14).

    Gesù Cristo è risorto e noi ne siamo testimoni, noi cristiani, noi Chiesa. La morte è stata vinta e noi ne siamo testimoni. Vinta con una vittoria reale, universale, definitiva. Cristo ha vinto la morte del mondo!

    Noi cristiani conosciamo un fatto che interessa tutti gli uomini perché si oppone alla morte di tutti: Gesù Cristo ha vinto la morte degli uomini.

    La nostra fede è un fatto di portata mondiale. Tutti gli uomini sono sottoposti alla morte e a tutti fa piacere che uno, Cristo Gesù, abbia trovato il rimedio, l’antidoto per tutti contro la morte.

    Gesù le disse: "Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morrà in eterno" (Gv 11,25-26). "Siano rese grazie a Dio che ci dà la vittoria (sulla morte) per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo!" (1Cor 15,57).

    Se giunge alle orecchie degli uomini la notizia che la morte è vinta, allora il rischio non è più un rischio, il sacrificio non è più un suicidio, l’invecchiamento non è più una catastrofe, la vita non è più una prigionia in attesa della forca. Come per Cristo anche per il cristiano e per ogni uomo di buona volontà che cerca Dio con cuore sincero, la morte è "l’ora di passare da questo mondo al Padre" (Gv 13,1), dalla vita alla Vita.